Leggiamo e...

 Jaques Cazotte


Autore : mauba
Mercoledì, 5 Settembre 2012 - 14:35

Jacques Cazotte (Digione 1719-Parigi 1792)

Jacques Cazotte è certamente un minore del Settecento francese, ma uno di quei minori che non possono essere passati sotto silenzio. La sua opera più celebre, il Diavolo innamorato del 1772, ha avuto una costante, benchè non rumorosa, fortuna, tanto che la troviamo tradotta anche in italiano una decina di volte, l’ultima in tempi recenti nella collana einaudiana ''Scrittori tradotti da scrittori''. Si tratta di una novella di pregevolissima fattura, un piccolo colpo di genio narrativo che ancora oggi non ha perso niente del suo fascino leggero ed insinuante. E’ stato Tzvetan Todorov a riportare fortemente l’attenzione su questo testo, facendolo capostipite del cosiddetto ''fantastico''. Leggendo la novella di Cazotte, tuttavia, si ha l’impressione che considerarla come l’antesignana delle allucinanti atmosfere di un Hoffman, di un Poe o di un Maupassant, sia leggermente forzato. Il fatto è che nella novella agisce ancora una forte componente ludica e galante, tipicamente settecentesca, un poco sottovalutata da Todorov. Questi si sofferma sull’esitazione come momento fondante dell’opera: esitazione tra una spiegazione naturale ed una soprannaturale di un evento che sembra violare le leggi di natura. Todorov ha ragione nell’indicare il testo di Cazotte come il primo che introduce l’esitazione e, così facendo, inaugura un genere letterario nuovo, ma ha ragione solo in parte, perché il dubbio che il protagonista-narratore (e con lui il lettore) sperimenta non verte sulla realtà o irrealtà della presenza demoniaca nella storia, bensì sulla bontà o malvagità di tale presenza. Insomma, l’incertezza c’è, ma non è di tipo cognitivo, come nelle inquietanti opere degli autori che verranno, bensì morale. Non c’è ancora destabilizzazione percettiva dei confini tra realtà e immaginazione, ma fluidità dei confini tra Bene e Male. Non a caso l’eroina è un’affascinante diavolessa contemporaneamente seduttrice e sedotta, statutariamente ostile all’uomo eppure capace di amare. Nel presente lavoro, prima di discutere l’assunto todoroviano e di addentrarsi in questioni di storia e teoria dei generi letterari, si tratteggia naturalmente un profilo biografico-intellettuale di Cazotte, al fine di contestualizzarne l’opera, e si offre un’ampia panoramica della sua produzione minore, riportando larghi estratti esteticamente pregevoli di testi poco conosciuti, soprattutto in Italia. Ricordiamo il lungo poema eroicomico Ollivier, con particolare riferimento all’episodio utopico dell’isola dei Melologhi, la novella psicologico-romanzesca Le lord impromptu e, soprattutto, il ciclo di racconti diabolici di Maugraby, parte di un più ampio insieme di racconti orientali. Maugraby, mago che si è dato a Satana, è terribile e crudele come un personaggio sadiano e le cupe storie di cui è protagonista sono senza dubbio le migliori che Cazotte abbia scritto, se si esclude il Diavolo innamorato. Ma ancora sono interessanti da leggere la Nouvelle Ramèide, dedicata al suo sfortunato amico Jean François Rameau (il ''nipote'' reso celebre da Diderot) che Cazotte mirabilmente ritrae in una toccante lettera dedicatoria, e la Voltèriade, poemetto bonariamente satirico sul celebre ''philosophe'', le cui gesta artistico-intellettuali ci vengono offerte da un’inedita angolazione. Cazotte, per tutta la vita ostile ai Lumi della Ragione, mescola all’avversione che nutre verso Voltaire, quel sentimento di rispetto che si deve ad un nemico di cui si riconosce la statura intellettuale, così che la sua satira non diviene mai bassamente denigratoria. Per Cazotte, Voltaire avrebbe potuto salvare le lettere francesi in un periodo che a lui sembra di decadenza, ma si lascia fuorviare dal desiderio di piacere al pubblico. Sempre in relazione a Voltaire, merita una lettura anche il Septième chant de la Guerre de Genève, continuazione apocrifa della volterriana Guerre civile de Genève. Cazotte era dotato di notevoli capacità imitative e questo fece sì che il suo testo fosse inizialmente creduto veramente opera di Voltaire, nonostante che quest’ultimo sia protagonista di buona parte del canto, che lo ritrae nel suo ritiro di Ferney.



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