Terzo Larice (Tigre)
Terzo33

Terzo Larice (Tigre) è nato in Brasile nel 1901.
Ho letto il diario del 2° battaglione per la prima volta quasi quattordici anni fa, nell’estate del 1983, mentre consultavo l’Archivio dell’8a brigata Garibaldi, per una ricerca commissionatami dall’Istituto storico provinciale della resistenza di Forlì, riferiva di prima mano su fatti accaduti nella vallata del Savio durante il periodo dell’offensiva partigiana, dal giugno al novembre 1944 e capii subito di avere tra le mani un documento che avrebbe meritato uno studio più approfondito. Al momento, però, mi limitai ad estrarne i dati che mi servivano e a farne una copia con l’idea di riprenderlo poi in seguito, se se ne fosse presentata l’occasione. Una volta a casa però non riuscii a metterlo da parte e tornai a rileggerlo con attenzione e anche con divertimento. La tensione morale e lo sforzo che vi si avvertivano connotavano verità e il modo in cui era scritto rendeva il diario diverso da tutti gli altri documenti che avevo consultato sino ad allora. L’autore si dimostrava un buon narratore, capace di mantenere sempre desta l’attenzione di chi leggeva, aiutato in questo anche da un modo di esprimersi tutto suo, che non teneva in gran conto le regole della grammatica. Terzo Larice inventava, li per li , come veniva, una lingua bastarda, che riprendeva le strutture del dialetto ed in esse forzava quel poco di italiano in cui egli aveva appena imparato a scrivere ed in cui non aveva mai imparato bene a parlare. Ne risultava un racconto epico, mai retorico, che quando non cedeva al gergo burocratico-militare (Come da ordini ricevuti noi ci spostammo sul monte della mitraglia) o alle frasi fatte, che ricordano in qualche modo i dialoghi dei film dell’epoca o dei romanzi d’appendice (Tigre come mai! taci ho deciso di fuggire), era capace di raggiungere momenti di alta tensione drammatica (ed’ecco che intuimmo in quel sentiero montagnoso un rumore di una grandissima massa di uomini che silenziosi marciavano e venivano verso di noi.). Quando cominciai a chiedermi chi fosse Terzo Larice, non riuscii a trovare molto di più di quello che poteva emergere dal diario stesso. In particolare, ero incuriosito dal suo nome di battaglia, Tigre, che mi faceva pensare all’omaggio di un appassionato lettore di romanzi di avventure, al famoso eroe di Salgari. All’epoca, le gesta e l’impeto dei personaggi di Salgari e di Dumas erano patrimonio culturale collettivo e al di là delle ideologie e dei miti delle stesse, venivano a costituire un substrato che accomunava i comportamenti delle due parti in lotta. Questo era vero, però, esclusivamente per la piccola, piccolissima, borghesia ed eventualmente per chi, pur non facendone parte, aveva potuto comunque, in qualche modo, sentire l’influsso di questo tipo di cultura. Non lo era e non lo poteva essere, invece, per Tigre. Troppo lontano socialmente e troppo ignorante per poter partecipare, anche solo di riflesso, di quella visione del mondo. Me ne accorsi però solo più tardi, quando riuscii a raccogliere altri elementi che mi permisero di inquadrare meglio il personaggio. Al momento le informazioni sulla sua persona erano così vaghe e le sue avventure apparivano così salgariane, che per un pezzo continuai ad attribuirgli un modo di guardare alle cose che non era il suo, ma che, più che altro, era il mio. L’occasione di riprendere il documento, comunque, non si ripresentò più e solo dopo molti anni mi decisi di ritornare sul diario. Soprattutto per soddisfare la mia curiosità. Incominciai col cercare informazioni sull’autore, ma non trovai nessuno che lo avesse conosciuto abbastanza da potermene parlare diffusamente. Sul suo conto, però, circolavano delle strane storie, di cui non avevo alcun riscontro nel diario né negli altri documenti che lo riguardavano e che non sembravano combaciare tra di loro. Qualcuno diceva che Tigre era stato in Francia e da lì, per qualche motivo, era stato deportato in Guyana, da dove poi era fuggito. Altri precisavano che non era lui ad essere stato imprigionato alla Caienna, ma il fratello Settimio, riuscito poi a fuggire con il suo aiuto. Altri ancora lo ritenevano parente, o addirittura fratello, del questore fascista che durante la guerra era stato questore di Forlì. In effetti il questore in questione si chiamava Larice, Secondo Larice. Consultando gli archivi avevo letto questo nome in calce a diversi documenti, ed avevo sempre pensato ad un caso di omonimia, ma ora che me lo si faceva notare, Secondo, Terzo e Settimio, sembravano parti di un’unica sequenza e tutti e tre avrebbero potuto benissimo essere figli dello stesso padre, dotato di scarsa fantasia. Anche il cognome, Larice, da noi non è un cognome comune. Gli indizi però mi sembravano troppo labili. Se i due fossero stati veramente fratelli, come mai due destini così diversi? Come poteva esservi stata tanta disparità fra di loro? E poi cosa c’entravano la Caienna e la Guyana francese? Pensai quindi di tralasciare il problema riguardante la persona di Terzo Larice e mi concentrai sul diario. L’idea era quella di pubblicare integralmente il documento, così com’era, con un corredo di note che permettesse di chiarirne il contenuto. Queste, per quanto possibile, avrebbero dovuto riportare documenti originali capaci di far luce sui fatti citati. In tal modo, cogliendo i diversi punti di vista, sarebbe stato possibile avvicinarsi alla verità attraverso la voce di chi aveva vissuto di persona quei momenti. In questo, il lavoro sembrava favorito dalla struttura del diario, che riprendeva quella dei racconti fatti nelle stalle o attorno al camino, per cui, pensando al narratore attorniato da una serie di persone che lo ascoltano, le note potevano essere lette come interventi di spettatori che partecipi del racconto venivano ad interromperlo per chiarirne i particolari, per dare la propria versione dei fatti o semplicemente per dire “c’ero anch’io!”. Pensai quindi di dare al lettore le coordinate necessarie per poter collocare temporalmente e spazialmente le vicende descritte nel diario, con una nota introduttiva in cui veniva riassunta la storia dell’8a brigata Garibaldi. In seguito questa introduzione è divenuta la nota 1, che rimane comunque di lunghezza eccessiva rispetto alle altre. Operazione questa, su cui nutro ancora dei dubbi, ma, credo, necessaria. Perché, con il passare del tempo, il lavoro si è notevolmente ampliato rispetto al progetto iniziale, prendendo una direzione assolutamente imprevista. Infatti, quando tutto era a buon punto e quasi pronto per essere pubblicato, casualmente, parlandone con Vladimiro Flamigni, segretario dell’Istituto storico provinciale della resistenza di Forlì, questi si ricordò dell’esistenza di un’intervista, fatta dai ragazzi della scuola media di Ca’Ossi e depositata lì presso l’archivio, dove in 34 pagine dattiloscritte Terzo Larice narrava tutta la sua vita. Tutti gli interrogativi sulla sua persona venivano così, di colpo, chiariti e anche molti altri. Il suo nome, ora era chiaro, non era un prestito letterario ma un ricordo delle avventure sudamericane. Tigre non era la Tigre della Malesia, era el tigre, il giaguaro. Non fu possibile rintracciare il nastro su cui l’intervista era stata registrata, ma anche dal dattiloscritto così come ci è pervenuto, con tutte le omissioni, le incomprensioni e le correzioni che sicuramente vi sono state riportate, Tigre emergeva con tutta la sua forza espressiva ed in tutta la sua statura morale. L’esistenza di un simile documento non mi permise più di considerare il lavoro finito e l’idea originale di pubblicare solamente il diario del 2o battaglione fu definitivamente accantonata per giungere al lavoro attuale in cui entrambi i documenti sono riportati, chiarendosi ed integrandosi a vicenda. La ricerca però si ampliò enormemente sia spazialmente che temporalmente. Dalla valle del Savio alle savane del Sudamerica, da un periodo di pochi mesi a quasi un’intero secolo. La vita di Terzo Larice. Attraverso la quale è possibile ripercorrere i momenti più importanti della nostra storia recente. Devo a questo punto un ringraziamento a tutti coloro che mi hanno aiutato nella ricerca e in particolare, a Cinzia Larice, la nipote di Terzo, che potei conoscere fortunosamente solo quando il lavoro era quasi ultimato e che mi permise di mettere in luce gli aspetti più nascosti della personalità dello zio e di chiarire gli ultimi dubbi rimasti. Concludo riportando il testamento, da lei conservato, dove per l’ultima volta Tigre, alla pari degli eroi antichi, mostra il suo carattere di combattente. Indomabile e indomato, neppure dall’approssimarsi della morte:

Ospedale Pier Antoni
4/11/79

Cara Cinzia

se qualcosa avesse a succedermi di tutto quello che vi è in casa disponi tu- Intanto ti averto
1° che laffitto di casa é pagato con un anticipo di 3 mesi
2° soldi in una bottiglia sono sopra allarmadio
3° nei libretti che sono nel primo casetto del comò uno è di Albini Maria (Moglie del povero Settimio che fu in Italia sei mesi
Ci sono e ritiro essa dal suo libretto 1.500.000 il rimanente va a lei col suo libretto. bisogna vedere attraverso lufficcio Inca della Camera del lavoro come puo fare a rittirare lei la sua penscione forse anche tramite la banca gli altri sono al portatore puoi ritirare tu. In una scattolina sempre nel 1° casetto del como vi è una casettina con orecchini e anello d’oro.
Ho fatto questa Memoria in caso...
Le croci di guerra che sono nella mia divisa debbono andare allufficcio storico della Resistenza in Via Albicini a Forlì
dovranno essere messe nei quadri coi diplomi di partigiani mio e del povero Gino. Colla divisa voglio essere vestito
Cosi se ritorno faro la rivoluzzione contro a tutta questa sporcizia Fanfaniana Andreotoni[a]na Donat Catenia Brodatania, Longania i S.D.
Tutti ladri coruttori e porchi
Vi saluto tutti voi e i miei cari giovani e vecchi amici di Ca’ ossi cosi pure
tutti glialtri Comune Camera del lavoro Am.pi Partito Federazione Coperativa

Terzo

meno Unipol ladro


Maurizio Balestra



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