Lo Zoologo Sandro Bertolino, dell'Università di Torino, da diversi anni si sta occupando del grave problema legato all'espansione dello Scoiatolo grigio nordamericano (Sciurus carolinensis), che in seguito ad alcune introduzioni avvenute negli anni passati, in alcuni parchi pubblici della Liguria e del Piemonte, si sta diffondendo ora in tutto il Nord, mettendo seriamente a repentaglio la conservazione del nostro autoctono Scoiattolo europeo o Scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris).
In Gran Bretagna purtroppo l'estinzione dello Scoiattolo europeo é già avvenuta, ma la diffusione dello Scoiattolo grigio dal Nord-Italia rischia di avere effetti ancora peggiori perché potrebbe irradiarsi in tutto il Continente Europeo causando estinzioni (non solo dello Scoiattolo europeo, ma di tante altre specie che nidificano fra gli alberi) con effetti gravissimi per gli ecosistemi forestali.
Siamo ancora in tempo per arginare l'espansione di questi temibili roditori americani, adottando interventi indolori, come le catture e l'eutanasia.
Vi chiediamo, inoltre, di diffondere al massimo questa iniziativa presso altre Liste di discussione, Associazioni, colleghi e amici, per fare in modo che la partecipazione sia numerosa, anche riprendendo questo messaggio (avvertenza compresa). AVVERTENZA Il sondaggio online non prevedendo un campione deciso a priori e rappresentativo della popolazione italiana o di una sua parte non ha valore statistico. Si tratta di rilevazioni aperte a tutti e ha quindi lo scopo di permettere ai partecipanti di esprimere la propria opinione su questo tema.
Cordialmente Sandro Bertolino
Autore : Maurizio Balestra
18/06/2013 - 09:15
Amarcord Vudstok
Sorrivoli 9 giugno 2013
Un dé ad pèsa amour musica e dialet
Con i migliori gruppi pop/rock dialettali della Romagna
Una giornata indimenticabile!
«Aiuteremo a modificare le leggi che governavano i cosiddetti paesi civili di oggi: leggi che hanno coperto la Terra di polizia segreta, campi di concentramento, oppressione, schiavitù, guerra, morte »
(Allen Ginsberg)
Nonostante per noi europei, spettatori del film di Waldeigh e non presenti al festival, Woodstock sembrò l'inizio di una nuova era, in realtà il festival di Michael Lang era un punto di arrivo: Woodstock è il momento più alto di una stagione iniziata pochissimi anni prima, e che porta il movimento giovanile americano a tentare, praticare e portare al successo, una straordinaria tre giorni di fantasia al potere, dando vita a una nazione alternativa dove non c'è polizia né governo, dove ogni regola viene stabilita assieme ai propri vicini, realizzando un embrione di nuovo mondo che non si mette unicamente in scena, ma che pratica totalmente la rivoluzione della propria esistenza. Cinquecentomila ragazzi si ritrovano a Woodstock, senza controllo, senza controlli. Il biglietto d'ingresso lo pagano in pochi, centinaia di migliaia entrano gratis. E gratis vengono sfamati, dalle comuni hippies che si metteranno al lavoro rapidamente per garantire la sussistenza, dalla solidarietà degli uni con gli altri, in una 'Woodstock Nation' dove non circolava denaro, dove non c'era polizia, dove non c'erano istituzioni o gerarchie, dove addirittura i musicisti sono pronti a suonare in orari impossibili, a condividere con il pubblico difficoltà e desideri. Con Woodstock una stagione, eroica, affascinante, unica, viene a chiudersi, perché nel giro di pochissimi mesi, di alcuni anni, alcuni dei suoi principali eroi musicali troveranno la morte, perché la repressione del sistema sarà dura e totale, perché il movimento stesso non sarà in grado di dare sbocco 'politico' coerente ai propri sogni, perché il rock si trasforma in un'industria, perché il movimento giovanile americano viene sconfitto, perché la droga travolgerà corpi e anime, perché il mondo, fuori dal recinto di Woodstock, in realtà rifiuta il sogno di quella generazione.
*Ernesto Assante, critico musicale di "Repubblica" dal 1978. Collabora con numerosi settimanali e mensili italiani e stranieri. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Il Novecento Americano (Einaudi, 2004)
Autore : Maurizio Balestra
19/03/2013 - 10:59
A dieci anni dalla morte di Walter Galli
Cinque domande di Gabriele Zani a Walter Galli
È del 1976 la pubblicazione del tuo primo libro La pazìnzia, un esordio non certamente precoce. Vuoi dirmi il perchè di quel ritardo, di quella attesa, se già nel 1951 erano apparse tue poesie sui fogli letterari?
Il libro uscì quando da una abbastanza lunga serie di verifiche e collaudi di lettori importanti mi parve di capire che poteva andare. Del resto erano anni - dal dopoguerra sino a tutto il '60 - in cui la poesia dialettale era una sorta di cenerentola, vivacchiava ai margini dell'attenzione delle riviste letterarie, dei critici e degli editori. Il titolo del libro è in un certo senso emblematico dell'aspetto di quel lavoro: paziente, solitario, di cui però non mi sono pentito; e poi si arriva sempre in tempo... Del resto la sua pubblicazione coincise con la straordinaria fioritura, proprio qui in Romagna, di voci poetiche di grande rilievo che oggi costituiscono la punta avanzata della poesia non solo dialettale.
La tua poesia sembra contraddire l'immagine stereotipa del poeta: un uomo che ambisce parlare di sé a se stesso, rinchiuso nella mitica torre d'avorio.
Spero di sì. Anche di fronte al bisogno di riflessioni o meditazioni, all'urgenza di decifrare i nodi esistenziali, di fare i conti con me stesso come per l'approssimarsi di scadenze improrogabili e temute, la mia scrittura mai si affida alle ciurmerie della bella parola che ipnotizza, frastorna e non lascia segni in chi ascolta. Spero che la mia poesia sia una sorta di diario, il giornale di bordo di questo navigare ignoto e difficile che è la vita, sul quale segnare e rileggere le tempeste e le bonacce, i porti ospitali e i naufragi. Questa configurazione che mi dai della tua poesia motiva e chiarisce le scelte: la Valdoca, il dialetto.
Vuoi precisare più a fondo tali scelte?
Era la Valdoca il grembo e il brulichìo di esistenze minime, dimesse, fuori dalla storia, senza voce, dove le provocazioni, gli insulti, le ferite che la vita non risparmia a nessuno e in nessun luogo, qui erano patiti e bestemmiati con segnali forti; e il dialetto, il veicolo della comunicazione: la loro lingua la mia lingua; lo strumento che mi permetteva di scandagliare meglio, di portare alla luce con più verità, impudicamente ma non impietosamente, le realtà più celate e rimosse di un mondo sommesso e sommerso. Ma soprattutto di ridirlo attraverso una scrittura di minimo scarto con l'oralità antica e quotidiana, quasi una registrazione in diretta, senza filtri o superfetazioni.
Nella tua poesia è riconoscibile una predisposizione all'epigramma: sintesi, battute fulminanti, finali improvvisi e taglienti, e soprattutto l'ironia che stempera la seriosità, l'acredine, la scurrilità, gli intenerimenti del dettato. È frutto del tuo incontro coi classici greci e latini o è qualcosa che ti è naturale?
Le "imitazioni" a cui tu fai riferimento [contenute sia in La pazìnzia che in Una vita acsé] richiederebbero un'indagine critica particolare che io non ho mai tentato di fare, né, penso, ne avrò mai la voglia. Posso solo dirti che il mio incontro con l'Anthologia Palatina e con Marziale avvenne un bel po' di tempo fa - verso il 1960 - quando già il mio lavoro aveva una propria originale fisionomia - quella stessa che ancora lo contraddistingue - per cui ritengo siano da escludersi lezioni o apprendistati esorbitanti da quei maestri. Si trattò semplicemente della scoperta di una affinità, di una sintonia con un mondo sorprendentemente vicino e attuale nonostante la polvere dei secoli, e poi del desiderio e del piacere di giocarci attorno e dentro con la mia barbarica lingua: liberamente, spregiudicatamente fino all'irriverenza, allo stravolgimento.
Ho notato, in occasione di letture pubbliche delle tue poesie, partecipazione e interesse notevoli. Come giudichi un consenso non sorretto dal momento della riflessione?
Ti crea perplessità o ti esalta siffatta unanimità da parte di una platea, in un certo senso provvisoria? È indubbio che nella proposizione orale la poesia si accende e si esaurisce nell'effimero momento emozionale, scartando o limitando inevitabilmente quello della meditazione, che, al contrario, esige la lettura silenziosa e personale quale unica, sicura traccia che consenta una completa e non equivoca captazione dei valori - spesso in filigrana - contenuti nel testo poetico. Sono però convinto - deducendolo dall'autentico interesse e dalle capacità di discernimento dimostrati dal pubblico - che quella remora non pregiudica del tutto la comprensione globale del messaggio. Penso che l'intensità della fruizione in comune porti il singolo ascoltatore a rielaborare, probabilmente per un effetto di rifrazione, i possibili punti di meno agevole intendimento. Per cui non riterrei giustificabile nel poeta una altezzosità che lo portasse a sofisticare troppo sulla idoneità al recepimento del suo uditorio, o ad applicare tare a un consenso che si esplica in una sorta di comunione della e con la poesia, anche se il mistero viene celebrato nell'inusitato laico tempio di una piazzetta di paese.
Cesena, aprile 1990 ("Libere carte", n. 0, maggio 1990)
"Open Doors to Fanzinoteca": al via la terza edizione
„Fanzine di fantascienza, di Mail-art, di musica o di fumetto? Meglio le pagine alternative di giochi di ruolo, oppure sono preferibili quelle più tipiche di letteratura e poesia? Nessun problema, alla Fanzinoteca d'Italia c'è solo l'imbarazzo della scelta, infatti con "Open Doors to Fanzinoteca" il programma dell'evento prevede per il pubblico, in questa terza edizione, le "Porte aperte" della sede per offrire un'opportunità, con un motivo conduttore legato al mondo delle fanzine, l'unico e vero prodotto della "stampa libera". Per il terzo anno consecutivo, "Open Doors to Fanzinoteca" si propone di proseguire energicamente il percorso già avviato, con l'intento di smuovere l'apatia culturale che, purtroppo, in molti casi circonda la nostra società.
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