"Anche nelle esperienze poetiche di Cino Pedrelli (1913), Libero Ercolani (1914) ed Agostino Lugaresi (1915) è presente, risentito magari in chiave spallicciana, il richiamo alla myrica pascoliana; ma se per Cino Pedrelli7 è lecito parlare d’una misura stilistica di notevole fi nezza, d’una poesia che si muove in un ambito che va da un descrittivismo naturalistico ad una forma di ripiegamento interiore, di qualcosa insomma che riconnette la sua dizione alla delicatezza di una stagione perduta, e per Libero Ercolani8 d’una sensibilità spallicciana sostenuta da una ricerca lessicale volta al recupero di voci rare ed arcaiche nell’ambito d’uno schietto pittoricismo, per Agostino Lugaresi, che perviene alla pubblicazione solo nel 19879 , alla vena di malinconia elegiaca, tipica appunto di un certo pascolismo, va accoppiata un’arguzia da cantastorie popolare, volta alla rappresentazione d’una galleria eterogenea di eventi e fi gure in cui realtà e sogno sono spesso categorie intercambiabili". (Da: poeti in romagnolo del secondo novecento. Tra testo e contesto: quasi una introduzione / Pietro Civitareale)
Due poesie di Agostino Lugaresi / di paolo Borghi (Da la Lugla - Maggio 2006)
Agostino Lugaresi, anche se lui ha sempre sostenuto (e
lo dichiarava esplicitamente, ma forse con una punta di
malizia) di aver sbagliato occupazione, era un medico, e
tuttavia su questo presunto ma non accertato abbaglio
nella scelta della professione cui aveva intitolato una vita
intera, le due poesie cui dedichiamo in questo numero
l'ultima pagina de «la Ludla», sembrano aprire uno squarcio
dal quale possiamo scorgere all’opposto quanto quel suo
stato di medico lo coinvolgesse quasi in modo intollerabile.
In esse è sviluppato, con parole dalle quali è inevitabile
lasciarsi coinvolgere, l’assunto senza tempo della
morte e della sofferenza.
Le poesie di Agostino Lugaresi (Cesena, 1915 - 1995) sono
state pubblicate da «Il Ponte Vecchio» di Cesena: I radisain
(1987) e Garavéll (1995).
Paolo Borghi
:
Ciameda ad nota
Ach nota, stanota!
Una bura... una neva!
A samia puch in zir:
quel dla ciameda e me.
E la morta
ch’la s’ era andeda avainti...
Quant a sam arivat la jera in ca.
Chiamata di notte // Che notte, stanotte! \ Una bora... una neve! \ Eravamo
pochi in giro: \ quello della chianata ed io. \ E la morte \
che ci aveva preceduti...\ Quando siamo arrivati era in casa.
L’amalé
U-n va e nainch u-n sta. Splì int e’ su let
davainti a lo l’ha e’ spauraz dla morta.
Cun j’occ spartì e’ strolga la su sorta
int al crepi e int al maci de sufet.
L’ammalato // Non muore e nemmeno campa. Sprofondato nel suo letto \
ha davanti a sé lo spauracchio della morte.\ Con gli occhi
spalancati dalla paura strologa la sua sorte \ nelle crepe e
nelle macchie del soffitto.
Inserito da Maurizio Balestra il 5/09/2016 - 10:03
Ad léu
u m tòurna in amént al méni gràndi, pini ad caramèli
e la voita l'éra dòulza
mo me a ne savòiva
a cridèvva m'al foli
e ma che patàca de mi fradèl ch'u m gévva:
"L'òs-cia la sa ad frèvla!"
La chèrta da zugh
La éra acsè stòila
ch'la parévva una chèrta da zugh
tal foto, un poster...
E léu l'è andè vì
sa lii tra 'l dòidi
ch'e' parévva éun ad chi prestigiatéur
ch'i s vòid in tivù.
Inserito da Maurizio Balestra il 13/01/2011 - 14:49
Dolfo Nardini è uno pseudonimo, ancora non sappiamo chi si nasconde dietro a questo poeta cesenate dall'identità rimossa, ma questo non è importante.
Ciò che importa è che in poco più di cinque anni (il suo primo lavoro è del 2004), quello di Nardini è diventato un nome che si sente citare sempre più spesso sia dagli addetti ai lavori che non.
Cinque le raccolte di Nardini pubblicate da tosca: E’ lavor de’ pisirel (2004), I nomar de’ lot dal ca populeri (2005), Tango (2007), Cuntantes (2008), Fin a qué (2009), An sò miga un pataca! (2010). Nardini, parla spesso di sesso in maniera esplicita. Anche troppo…
In certi casi però ci si trova costretto, perché per un romagnolo è difficile parlare d’amore, perché nel nostro dialetto mancano le parole necessarie ad esprimerlo… “Amor” in romagnolo significa Gelso (un albero: L’amor) e non c’è una parola adatta a tradurre la parola amore. “Ti amo”, in dialetto non si può dire, al massimo si dice “At voi ben”. L’amore è un concetto difficile da afferrare anche quando ci sono le parole per definirlo, quando poi le parole non ci sono si è costretti ad arrangiarsi…
A sò a que ch’a vengh da te
a n’e’ sò gnenca e’ parché
che s’e’ fos sol par ciavè
avreb mench da tribulè.
… il consiglio che dà Nardini, accontentarsi in tutti i campi della vita.
La vita dopo tutto non è che il risultato di un aggiustamento continuo di un ridimensionamento dei nostri desideri… che se fosse per noi, se non fossimo costretti a fare i conti di continuo con la dura realtà, sarebbero desideri sfrenati… impossibili da realizzare…
Cuntantès
Fata pataca!
…int e’ bar
par un mes
par incuntrela
dal dis agli ong
e un dé Scusi … se vuole
ce l’ho io il giornale…
e pó as s’am’mes a scor…
L’era spuseda!
…
Fata pataca!
A farò finta
ch’am la sia ciaveda!
Accontentasi e coglire quanto che la vita ci offre prima che sia troppo tardi.
L’è ’csé la vita
Un dé che t vé in mutor
par la tu streda
ut pasa aventi ona
cun e’ scuter
un svulazéd ’d cavel
bionda, abrunzeda
da quel ch’us ved
e’ pè ’na bela figa
et dé de’ gas pr avdela
giost par guardela
gnenca par dìi quel
te t pruv a dei de’ gas
mo tci zà a e’ masum
T’a i dé, t’a i dé
mo un gn’è piò gnint da fè
- Un gn’era a qué un incros?
Mo un gn’è un semaforo! -
gnint
e lia ch’la va
e la sluntèna via
pianin, pianin
pó quand t’an gn’i pens pió e t’at ci bela mes e’ cor in pesa
la acosta e la s’aferma
e te tci in pala
e un tira gnenca i freni.
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